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Incubo
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Affari
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Scritto nel Dicembre 1995

Incubo

Non ce la faceva più. Il fiato era diventato un rantolo continuo, roco, le gambe gli facevano sempre più male e quel che è peggio stava perdendo terreno. Gli era praticamente alle spalle. Sentiva già i passi pesanti divorare inesorabilmente il terreno, il fiato umido sul collo, e quel ringhiare, quel maledetto ringhiare che gli penetrava le ossa, gli risaliva il midollo fino ad assalire il cervello, come un verme in una mela marcia. Era un suono pieno di cattiveria, sicuro, maligno ed al contempo sardonico. Sembrava farsi beffe di lui, sfidarlo a voltarsi, ad affrontarLa una volta per tutte. Le mani gli scivolarono mentre cercava disperatamente di risalire un pendio fangoso, pieno di radici e rami spezzati. Il terreno sembrava volerlo risucchiare indietro. Ogni metro che avanzava la melma lo faceva scivolare verso il basso di mezzo metro. E Lei gli era a ridosso, solo un passo, pronta a ghermirlo al minimo segno di cedimento. Gli artigli affilati l'avrebbero sventrato, squarciato, ridotto a brandelli... Doveva farcela. Doveva arrivare in cima. Non sapeva perchè, ma se fosse arrivato in cima sarebbe stato salvo. Ma era stanco. Non ce la faceva proprio più. Sembravano giorni che stava arrampicandosi su per quel dannato pendio. Forza! Ancora un passo. Non puoi dargliela vinta. Non ora che ce l'hai quasi fatta. Un sordo ringhiare carico di perfidia e di gioia, vittorioso, gli rispose dal basso. Mio Dio! Mi ha preso ormai! No! No! Nooooooooooo....

«No!» - Carlo si rizzò a sedere sul letto, gli occhi sbarrati, il volto mantido di sudore, le mani disperatamente avvinghiate alle lenzuola - «Nooo...» - l'ultimo no fu quasi un sospiro, come a voler scaricare in quell'ultima parola tutta l'ansia e la paura che gli si era accumulata dentro.

«Carlo, Carlo, ti senti bene?» - Carlo girò lentamente la testa, senza capire, lo sguardo ancora distante a sfiorare le ombre della stanza... della sua stanza. Era stato un incubo, anzi, l'incubo. Erano oramai tre notti che quell'incubo lo assaliva durante il sonno, sempre lo stesso, sempre uguale... No, non uguale. Ogni notte Lei gli era sempre più vicina. Questa volta l'aveva quasi preso, quasi... La prossima volta...

«Carlo, mi vuoi rispondere?»

Franca... Sua moglie...

«Sto bene. Sto bene.» - borbottò Carlo attraversando con lo sguardo il punto in cui si trovava la moglie. Franca era ferma sulla soglia, in controluce. Indossava quella stupida vestaglia rosa a fiorelloni che la faceva sembrare la classica casalinga delle barzellette: bigodini in testa e ciabatte da casa. Quel solito senso di rabbia e disgusto lo prese allo stomaco, riportandolo più rapidamente alla realtà di una doccia fredda od una tazza di caffè bollente.

«Se stai bene perchè gridavi come un ossesso? Finirai per svegliare i bambini.» - rispose Franca con quella logica deprimente che le donne sanno sfoderare quando sentono di essere in una posizione di forza.

«Era solo un sogno. Nient'altro. Adesso sto bene!» - rispose Carlo sottolineando con la voce il fatto che non aveva assolutamente bisogno di lei. Per quello poi che avrebbe potuto fare... Bah. Da quando avevano avuto quella discussione pochi giorni prima, Franca era andata a dormire nella camera degli ospiti ed aveva limitato la conversazione durante il giorno al minimo indispensabile. Per quello che lo riguardava era meglio così. Non ne poteva più. Non riusciva neppure a ricordare che cosa lo aveva attratto in lei. Con tutte le donne che ci sono in giro...

«D'accordo, ma prenditi una pastiglia di valeriana. Io domani mi devo svegliare alle sette, io.»

Carlo grugnì una risposta e si girò verso la finestra cercando con i piedi le pantofole. Mi devo svegliare alle sette, io. Mica era colpa sua se era stato messo in cassa integrazione da più di due mesi. Tutta colpa dei sindacati che gliele davano vinte tutte, a quelli lì. Ah, se ci fosse stato lui al tavolo delle trattative.

«E non fare tutto quel rumore, che se la bambina si sveglia ci vuole un'ora poi per farla riaddormentare.» - concluse Franca voltandogli le spalle e ciabattando verso la camera degli ospiti.

«Vecchia oca» - pensò Carlo infilandosi la vestaglia - «Uno di questi giorni io...»

Franca entrò in camera, si tolse la vestaglia, si infilò nel letto e chiuse la luce.

«Domani...» - pensò - «Sì, domani.» - e si riaddormentò con un freddo sorriso sulle labbra. Non vedeva l'ora che venisse la notte successiva per finire il suo sogno. Domani, ne era certa, l'avrebbe preso.


Dario de Judicibus © 1997-2009